La “Cisrà”.

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La natura si prepara all’inverno. Le piante cambiano colore e, pian piano, si liberano delle foglie ormai inutili. Le giornate si accorciano, le temperature scendono, la nebbia sale tra i vigneti. I contadini approfittano delle ultime giornate di sole per terminare la raccolta della legna e dei frutti autunnali che andranno a riempire le dispense. Dalle colline si scende a valle per comprare le ultime provviste durante i mercati autunnali, come quello della “Fiera dei Santi” di Dogliani che, dal 1600, si rinnova ogni anno il 2 novembre. La tradizione vuole che i pellegrini che percorrevano le strade di Langa per partecipare alle celebrazioni religiose e all’ultimo mercato prima del periodo invernale potessero rifocillarsi con una calda scodella di Cisrà, servita dai Confratelli della “Confraternita dei Battuti”. La Cisrà è un antichissimo piatto unico, povero ma molto nutriente, a base di ceci, verdure e trippe, cotto a fuoco lento per tutta la notte e servito fumante a partire dall’alba del giorno dopo in tradizionali scodelle di ceramica. Gli ingredienti che compongono questo piatto sono le eccellenze del gusto che questa terra produce e provengono direttamente dagli orti dei contadini. In ogni cucchiaio di Cisrà possiamo gustare i farinosi ceci di Nucetto, le zucche di Piozzo, i porri di Cervere.  La ricetta che Maresa Rolfo – la cuoca che ha seguito la preparazione ogni anno dalla prima edizione nel lontano 1985 – prepara ogni anno in grandi quantità è la seguente:

  • 220 kg di PORRI
  • 150 kg di SEDANO
  • 420 kg di grandi e belle ZUCCHE gialle di Piozzo
  • 240 kg di CECI di Nucetto
  • 10 kg di AGLIO
  • 240 kg di CAVOLI
  • SALE MARINO

E, all’ultima ora…

  • 130 kg di CIPOLLE dolci fatte un po’ soffriggere in un buon Olio di Oliva Extra Vergine della Riviera Ligure
  • 350 kg di profumate TRIPPE di Moncalieri
  • Una brenta di buon BRODO di Coda di Bue
  • Una spolverata di PEPE bianco e una passata di buon Olio di Oliva Extra Vergine della Riviera Ligure.

La storia narra.

Lo storico P.F. Orta, nella “Vita di San Celso”, patrono di Dogliani, del 1667 scriveva di Dogliani che: “terra di gran traffico per la sua postura, meglio che altrove, attecchirono sempre le fiere e i mercati”. Da tempo immemorabile si tenevano infatti ben tre mercati a settimana e tre fiere l’anno, una delle quali, precisamente quella dei Santi, è sopravvissuta fino a noi. Già nel ‘500 era l’ultimo grande appuntamento per la gente di Langa prima dell’inverno; con essa si concludeva anche il ciclo lavorativo più pesante per i contadini: dopo la vendemmia, l’aratura e la semina, si potevano tirare le somme e provvedere agli acquisti in vista della dura stagione invernale. La prima menzione della Fiera si ha in un Ordinato della Municipalità del 1 gennaio 1665, con la quale si stabiliva di anticiparla al giorno di San Luca (18 ottobre) “per non impedire la devozione alle anime purganti”; nel 1684 però, essa veniva nuovamente portata al giorno dei Morti “per mancanza di commercio a San Luca”.  Come da tradizione, la parte bassa del paese il Borgo ospiterà la fiera commerciale, mentre alcune aree saranno riservate ai produttori agricoli e agli espositori.

Come ricorda il Prof. Claudio Daniele, la storia della chiesa dei Battuti di Dogliani inizia a metà ‘700 segnando la fusione di due Confraternite che già nel 1600 erano operanti nel tessuto sociale e religioso del paese: i Battuti Bianchi e i Battuti Neri con le rispettive sezioni femminili. Le Consorelle dei Bianchi erano soprannominate di Santa Teresa e come luogo di ritrovo avevano una piccola cappella lungo la salita al Castello. Le Consorelle dei Neri erano chiamate le Umiliate di Santa Elisabetta e si occupavano del servizio della chiesa e della partecipazione ai funerali. I termini Bianchi e Neri si riferiscono al fatto che durante le funzioni religiose o civili ufficiali, queste indossavano delle tuniche di colore bianco o nero con un cappuccio in testa con due fori per gli occhi, per indicare l’estrema gratuità del loro servizio e la forte umiltà di non voler essere né riconosciuti e né tanto meno ringraziati in pubblico per il bene compiuto. Il colore bianco in più indica la purezza e il loro compito era proprio quello di portare aiuto ai poveri, in particolare alle vedove e ai bambini orfani, mentre il nero era il colore del lutto e quindi chi indossava quest’abito aveva il compito di seppellire i morti a cui nessuno pensava, assistere i moribondi, in particolare i condannati a morte e in altri casi occuparsi dei malati in Ospedale (per questo erano anche soprannominati la “Confraternita della Misericordia”). Nei primi decenni del ‘700 queste due Confraternite, a cui era iscritta la maggior parte della popolazione di Dogliani, decisero di fondare una nuova e più capiente chiesa e affidarono il progetto al famoso architetto Francesco Gallo, che la costruì nel 1732. La Chiesa dei Battuti fu quindi dedicata al SS. Nome di Gesù e del Santo Crocifisso. Già a partire dal ‘600, i membri della Confraternita dei Battuti, in particolare i bianchi, erano soliti offrire, il 2 novembre giorno dei morti, una ciotola fumante di una zuppa a colore che giungevano alla Fiera dei Santi, stanchi e affaticati, per assistere alle funzioni religiose e fare provviste di generi di prima necessità. In tempi più recenti ci è giunta testimonianza che i ristoranti che si affacciavano alla piazza della Confraternita e zone limitrofe servissero la Cisrà già a partire dalle prime ore del mattino, per rifocillare i pellegrini e i primi avventori della Fiera dei Santi. Si trattava dei ristoranti: Alberto Fiorito (angolo con Piazza Confraternita), La Merla (che si trovava in Piazza Martiri della Libertà), Hotel Ristorante Venezia (Piazza Molino) e il Leon d’Oro (Via Rovere).