Inverno Contadino: i ricordi di Nonna Marcella.

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«La contadina ha sistemato gli ultimi raccolti nella dispensa. Il formaggio, avvolto in panni di lino imbevuti d’aceto, è appeso al soffitto della cantina. Mele e pere riposano in lunghe file, tra foglie secche, sui pavimenti dei solai, gli altri frutti sono ormai marmellate, sciroppi e liquori. I cereali sono stati essiccati, le carni insaccate o affumicate. Nell’orto rimangono cavoli, cavolfiori, rape, cardi e le altre verdure invernali. Il contadino ha curato la terra: l’aratro ha lasciato grosse zolle, l’erpice le ha rotte. I semi versati nei solchi sono stati interrati. Ed ecco l’inverno. Fa freddo e le giornate sono corte. Gli animali sono al riparo, la natura riposa, i ritmi della vita contadina rallentano. Scende la prima neve ed è festa perchè “sotto la neve il pane”: la coltre nevosa impedisce che il terreno geli troppo e rovini il raccolto. Anche in casa fa freddo, ma basta alimentare il putagè per riscaldare l’ambiente che diventerà il centro della vita contadina durante l’inverno: la cucina. Il putagè è una stufa in ghisa che provvede sia al riscaldamento che alla cucina. L’origine del nome, infatti, sembra risalire al latino volgare “pottum”: recipiente di origine preceltica ed in francese il “potage” è una zuppa di ortaggi. La parte superiore del putagè, infatti, è una piastra piatta sulla quale appoggiare le pentole e cucinare. Completano la struttura i “canun”, i tubi di scarico, incastrati l’uno nell’altro. Il primo sostiene una raggiera di bacchette sulle quali si stendono canovacci, abiti, ma anche i pigiami, da indossare caldi per affrontare la gelida notte. Nelle stanze, infatti, l’unica fonte di calore è il “cucu”, contenitore pieno di brace, infilato sotto le coperte dentro il “fra”, struttura in legno che permette di non bruciare le lenzuola. Le serate si trascorrono nel tepore delle stalle. Si canta e si raccontano storie, alcuni suonano e ballano, senza mai smettere del tutto di lavorare. Le donne cuciono o rammendano. Le più esperte lavorano all’uncinetto o ai ferri, confezionando gli “scapin”, calzettoni di calda lana. Gli uomini intagliano il legno e intrecciano cesti. I bambini piccoli dormono nella culla, che la madre fa dondolare con i piedi, mentre i più cresciuti imparano i lavori “dei grandi”, giocando ed ascoltando i racconti dei nonni…»

Grazie a Nonna Marcella per averci raccontato i ricordi lontani delle sere “contadine”.